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“Il cielo d’oro”. Un ricordo della mostra “Siena, The rise of painting” alla National Gallery di Londra

“Il cielo d’oro”. Un ricordo della mostra “Siena, The rise of painting” alla National Gallery di Londra
  • PubblicatoMarzo 24, 2025

Il senese Alessandro Spina ha condiviso con noi la sua recensione sulla mostra “Siena: the rise of painting, 1300-1350”, che dopo il Met di New York si è spostata alla National Gallery di Londra (è visitabile fino al 22 giugno).

“Sono andato a vedere la mostra Siena, the rise of painting 1300-1350 che dall’8 Marzo al 22 Giugno è alla National Gallery di Londra, dopo essere stata lo scorso anno al Metropolitan Museum di New York. Se divido il tempo già trascorso della mia vita in tre, mi rendo conto di averne vissuto un terzo a Siena- negli anni del Liceo e dell’Università- e un altro terzo a Londra, dove sono andato per lavorare dopo gli studi. Andare a visitare questa mostra mi sembrava dunque un’occasione- anche personale- unica e irripetibile, il punto di intersezione di due distinti radici del mio albero: ho diligentemente prenotato i biglietti in Gennaio addirittura prima dell’apertura, e ho fatto bene perché ora, grazie all’enorme successo di pubblico che la mostra riscuote, vi è il fully booked anche per settimane; quindi, se avete in animo di visitare anche voi questa mostra, affrettatevi.

Ed ecco dunque che pur non avendo alcun titolo– non sono uno storico o critico d’arte- se non quello della coincidenza autobiografica appena descritta, ho deciso di scrivere per condividere alcune riflessioni -dettate prevalentemente dalle emozioni- che questa mostra suscita in chi è legato a Siena dall’affetto di casa.

Ancor prima di varcare la soglia del museo, e a cominciare dal titolo stesso, si ha una prima indicazione che la mostra non vuole solo essere una retrospettiva sui grandi pittori senesi ma sul microcosmo culturale in cui essi si sono formati e hanno operato, a cavallo tra XIII e XIV secolo. Ed in effetti, dunque non è a caso che la grande scritta “SIENA” troneggi impressa a caratteri cubitali bianchi su fondo nero sui grandi cartelloni appesi alle pareti del tempio dell’Arte di Trafalgar Square, sotto gli occhi vigili dell’Ammiraglio Nelson che guarda, da lassù in cima alla colonna, scorrere il traffico che porta a Whitehall e a Westminster, nei palazzi del potere di Londra.

Per chi è di Siena, e sa che a 200 metri da piazza del Campo ci sono ancora i piccoli orti dove si coltivano le insalate e i pomodori, e vede la propria bellissima piccola città celebrata nel cuore della capitale inglese con i suoi 8 milioni di abitanti e uno dei centri più importanti al mondo, quest’accostamento evidentemente sproporzionato tra i due luoghi non è solo motivo di orgoglio civico ma ha un effetto di allegria, quasi esilarante.

Ricorda, con le dovute proporzioni, il contrasto di proporzioni di quella scena buffa del film i Due Colonnelli dove Totó minaccia il colonnello inglese prigioniero (William Pidgeon) che avrebbero conquistato “la vostra piccola isoletta di pescatori”, concludendo con: “bivaccheremo a Piccadilly!”Ma divago: si diceva, dunque, di Siena come forse la vera protagonista della mostra; ma ovviamente, in modo concreto, è l’ eccezionale, ricca, collezione di opere raccolte di Duccio, Simone Martini, i fratelli Lorenzetti – quasi un centinaio- a regalare ai visitatori un senso di meraviglia, o come si dice oggi più prosaicamente il cosiddetto “Wow factor” (che, effettivamente, ho sentito esclamare da diversi visitatori durante la mia visita).

Sono già apparse entusiastiche recensioni sul Guardian e sul Times, che hanno sottolineato il pregio e il significato artistico dei dipinti in mostra, mettendo altresì in risalto il carattere innovativo e geniale del linguaggio figurativo della scuola senese, e l’influenza che essa ha avuto nello sviluppo dell’arte occidentale, anche grazie alla propagazione da parte degli artisti senesi che hanno vissuto ad Avignone, nel periodo in cui essa ospitava la sede papale.

Attraversata la porta di ingresso della mostra, e la stanza che ha sui muri i parati di linee di marmo bianco e nero, come a ricreare l’interno del Duomo, ci viene subito incontro la Madonna con Bambino di Duccio, e qui si svela, in modo plateale, il senso profondo e tutta l’originalità della scuola senese: sapientemente disposta al lato dell’opera di Duccio, vi è una coeva icona bizantina che raffigura Madonna e Bambino con i convenzionali tratti statici e quasi inanimati. La rigidità delle espressioni umane dell’icona aiuta a comprendere, per contrasto, quanto geniale e innovativo sia stato Duccio a dipingere un Bambino, che, pur nella medesima posizione, assiso in braccio alla Madonna, alza il suo piccolo braccio per toccarle il volto.

Ecco, in questo gesto, così banalmente quotidiano come quello del neonato che “tocchiccia” il volto o l’orecchio della mamma, vi è tutto il dono di umanità, introspezione psicologica e realismo che la scuola senese offre alla pittura all’inizio del rinascimento. E la stessa sensazione di veridicità delle emozioni umane espressa sulle tavole dal fondo d’oro dei dipinti si ha quando si ammira il volto ceruleo e attonito, ma vivo, di Lazzaro risorto nella Resurrezione di Duccio, o nel magnifico Cristo scoperto nel Tempio di Simone Martini, dove vi è un vero e proprio dialogo senza parole fatto di espressività e gestualità: nel volto accigliato di Giuseppe che rimprovera, e in quello del giovane Gesú con le mani conserte e l’atteggiamento un po’sfidante, se non addirittura quasi insolente.

Vi è poi un altro aspetto della scuola senese che la mostra ben evidenzia, ovvero la ricettività che questi grandi artisti avevano verso mondi artistici lontani, i cui mirabili manufatti soprattutto tessili dall’Iran o dalla Mongolia, venivano fatti propri e “inculturati” nell’estetica locale. Vi è evidenza di ciò nelle stoffe utilizzate per panni e stole dei personaggi sacri, e che sono così belle e direi anche attuali, che non sfigurerebbero nel catalogo di vendita del negozio Liberty, a due passi dal museo. O, infine, si pensi al tappeto persiano ben visibile sotto i piedi del gruppo rappresentato nello Sposalizio della Vergine di Niccoló di Buonaccorso. Grazie anche alla giustapposizione affianco all’opera di un tappetto coevo proveniente dalla Turchia, sono rimasto in contemplazione del lembo di tappeto, che ho notato per la prima volta nel quadro, perché in esso vi è l’apertura mentale (e la curiosità) per ciò che è diverso, e tutto ciò che sta scomparendonelle nostre società sempre più rozze, e violentemente ottuse, dominate ormai da una sterile logica della politica “identitaria”.

Si esce dalla mostra e si sbuca in una delle sale della National Gallery, nel percorso obbligato prima di raggiungere il cielo grigio che ti aspetta all’uscita. Quindi, teoricamente, uno potrebbe ancora continuare a visitare la Galleria, e ammirare i suoi Tiziano, Raffaello, Rembrandt, per giunta non dovendo neppure fare la lunga fila che c’è ad ogni ora del giorno all’ingresso. Ma devo dire che a quel punto, dopo essere stati abbagliati da tanto oro e da tanta grazia della mostra di Siena, uno si trova come un pugile KO tramortito al suolo, non riesce più a reagire agli stimoli visivi.

Ma prima di prendere la tube di Leicester Square, ed essere di nuovo inghiottiti dalla frenesia della nostra vita iperconnessa e rumorosa, ci si rende conto, a posteriori, di un ultimo dono che si porta a casa, sicuramente chi è di Siena, ma forse anche altri visitatori attenti che hanno trascorso del tempo nella nostra città. Il fondo oro che rappresenta il cielo in certi dipinti, non è solo un’invenzione di fantasia, né una tecnica pittorica per folgorare e impressionare, ma esiste davvero, è reale: basta sdraiarsi in piazza del Campo al tramonto di certi giorni d’estate e guardare in su, verso l’orizzonte infinito.

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Redazione