La scoperta sensazionale a Gaiole in Chianti che riscrive la storia grazie a vinaccioli di oltre duemila anni fa
Non esiste storia che non possa essere scritta due volte, nemmeno se si parla del Chianti: il vino (e il territorio) più famosi al mondo pronti a rivoluzionare tutto ciò che finora abbiamo conosciuto di Gaiole e non soltanto. E, come sempre accade, la scoperta sensazionale è stata del tutto casuale ed è avvenuta durante gli scavi archeologici nell’area di Cetamura: 4500 vinaccioli (nella foto, sotto) di un’età invidiabile, 2300 anni. Acini perfettamente conservati grazie ai secoli trascorsi nell’acqua che ne hanno mantenute inalterate le caratteristiche e che oggi raccontano una storia nuova (o quasi). I vinaccioli risalgono al 300 a.C., epoca etrusco-romana e potrebbero cambiare l’intera storia di un territorio: quello dei comuni che compongono il Chianti classico.
Le terre di Siena non sono nuove a scoperte eccezionali come questa: a San Casciano dei Bagni, il ritrovamento quasi un anno fa del tesoro custodito nel santuario del Bagno Grande, aveva mostrato quanto l’acqua fosse stata fondamentale nel mantenimento dei preziosi reperti e oggi, a Gaiole in Chianti, il sindaco Michele Pescini ha lasciato trapelare questa notizia di grande portata.
Il vino della zona lega la sua storia al periodo medievale, tant’è che il Gallo Nero – simbolo del Consorzio del vino Chianti classico- è il protagonista di una leggenda che spiega come le repubbliche di Siena e di Firenze abbiamo stabilito i confini dell’area dopo anni di guerra e di dispute.
Ma la scoperta dei vinaccioli, ospitati nella mostra “Cetamura 50. Materiali, persone, ricordi” ( visitabile fino al 15 settembre al museo civico “Alle origini del Chianti”) , potrebbe rivoluzionare il racconto del vino, anticipando le lancette della sua nascita di oltre un millennio e cambiando anche la formula che oggi conosciamo: essi offrono infatti grandi prospettive di ricerca sulla storia della viticoltura etrusca e romana nell’area che ora rientra nel disciplinare del Chianti classico.
Non solo però: gli acini si sono ben conservati nell’acqua presente nei pozzi, “per cui possiamo studiare e ricostruire il loro codice genetico”, ha affermato il sindaco di Gaiole in Chianti Michele Pescini che ha fissato come suo grande obiettivo il tentativo di replicare in vitro questi chicchi d’uva e produrre l’antico vino risalente a 2300 anni fa. Un obiettivo importante che potrebbe ridisegnare tante sfaccettature della cultura e dell’economia del territorio.
“La scoperta fatta è sensazionale – ha continuato Pescini – . Se riscrive la nostra storia? Non esiste una storia che non possa essere scritta due volte, anche se non si cancella la leggenda del Gallo Nero”.
Tra i vinaccioli antichi è stata riscontrata dell’uva bianca. Questo fatto però non è straordinario ma coerente con la formula del 1872 che il Barone Bettino Ricasoli dette per il Chianti (al tempo non esistevano le denominazioni odierne, ndr): 70% di uve rosse Sangiovese; 30% diviso tra Canaiolo ed uve bianche Malvasia o Trebbiano.
Domani pomeriggio, in una conferenza scientifica ospitata al museo civico “Alle origini del Chianti”, un team dell’Università di York che sta studiando i vinaccioli potrebbe quindi fare ulteriore chiarezza sia sui reperti, sul loro Dna e sulla varietà d’uva che veniva coltivata nella zona nel periodo dell’Antichità.