L’ultimo saluto a Papa Francesco. L’omelia di Giovanni Battista Re. “Costruire ponti e non muri”

Erano tantissimi ad accompagnare il Santo Padre nell’ultimo viaggio fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore, luogo scelto da Papa Francesco per la sua sepoltura. Oltre 200.000 persone hanno assistito ai funerali in Piazza San Pietro, a cui hanno partecipato 166 tra capi di Stato e delegazioni internazionali. A presidiare le esequie è stato il decano del Collegio cardinalizio, il cardinale Giovanni Battista Re.
Qui di seguito il testo dell’omelia del card. Giovanni Battista Re, decano del collegio cardinalizio:
“In questa maestosa piazza di San Pietro, nella quale papa Francesco tante
volte ha celebrato l’Eucarestia e presieduto grandi incontri nel corso di
questi 12 anni, siamo raccolti in preghiera attorno alle sue spoglie mortali
col cuore triste, ma sorretti dalle certezze della fede, che ci assicura che
l’esistenza umana non termina nella tomba, ma nella casa del Padre in una
vita di felicità che non conoscerà tramonto. A nome del Collegio dei
Cardinali ringrazio cordialmente tutti per la vostra presenza. Con intensità
di sentimento rivolgo un deferente saluto e vivo ringraziamento ai Capi di
Stato, ai Capi di Governo e alle Delegazioni ufficiali venute da numerosi
Paesi ad esprimere affetto, venerazione e stima verso il Papa che ci ha
lasciati.
Il plebiscito di manifestazioni di affetto e di partecipazione, che abbiamo
visto in questi giorni dopo il suo passaggio da questa terra all’eternità, ci
dice quanto l’intenso Pontificato di papa Francesco abbia toccato le menti
ed i cuori. La sua ultima immagine, che rimarrà nei nostri occhi e nel nostro
cuore, è quella di domenica scorsa, Solennità di Pasqua, quando papa
Francesco, nonostante i gravi problemi di salute, ha voluto impartirci la
benedizione dal balcone della Basilica di San Pietro e poi è sceso in questa
piazza per salutare dalla papamobile scoperta tutta la grande folla
convenuta per la Messa di Pasqua. Con la nostra preghiera vogliamo ora
affidare l’anima dell’amato Pontefice a Dio, perché Gli conceda l’eterna
felicità nell’orizzonte luminoso e glorioso del suo immenso amore. Ci
illumina e ci guida la pagina del Vangelo, nella quale è risuonata la voce
stessa di Cristo
che interpellava il primo degli Apostoli: “Pietro, mi ami tu più di costoro?”.
E la risposta di Pietro era stata pronta e sincera: “Signore, Tu conosci tutto;
Tu sai che ti voglio bene!”. E Gesù gli affidò la grande missione: “Pasci le mie
pecore”. Sarà questo il compito costante di Pietro e dei suoi Successori, un
servizio di amore sulla scia del Maestro e Signore Cristo che “non era venuto
per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per tutti”
(Mc.10,45).
Nonostante la sua finale fragilità e sofferenza, papa Francesco ha scelto di
percorrere questa via di donazione fino all’ultimo giorno della sua vita
terrena. Egli ha seguito le orme del suo Signore, il buon Pastore, che ha
amato le sue pecore fino a dare per loro la sua stessa vita. E lo ha fatto con
forza e serenità, vicino al suo gregge, la Chiesa di Dio, memore della frase
di Gesù citata dall’Apostolo Paolo: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”
(Atti, 20,35). Quando il Card. Bergoglio, il 13 marzo del 2013, fu eletto dal
Conclave a succedere a papa Benedetto XVI, aveva alle spalle gli anni di vita
religiosa nella Compagnia di Gesù e soprattutto era arricchito
dall’esperienza di 21 anni di ministero pastorale nell’Arcidiocesi di Buenos
Aires, prima come Ausiliare, poi come Coadiutore e in seguito, soprattutto,
come Arcivescovo.
La decisione di prendere il nome Francesco apparve subito come la scelta
di un programma e di uno stile su cui egli voleva impostare il suo
Pontificato, cercando di ispirarsi allo spirito di San Francesco d’Assisi.
Conservò il suo temperamento e la sua forma di guida pastorale, e diede
subito l’impronta della sua forte personalità nel governo della Chiesa,
instaurando un contatto diretto con le singole persone e con le popolazioni,
desideroso di essere vicino a tutti, con spiccata attenzione alle persone in
difficoltà, spendendosi senza misura, in particolare per gli ultimi della terra,
gli emarginati. È stato un Papa in mezzo alla gente con cuore aperto verso
tutti. Inoltre è stato un Papa attento al nuovo che emergeva nella società
ed a quanto lo Spirito Santo suscitava nella Chiesa. Con il vocabolario che
gli era caratteristico e col suo linguaggio ricco di immagini e di
metafore, ha sempre cercato di illuminare con la sapienza del Vangelo i
problemi del nostro tempo, offrendo una risposta alla luce della fede e
incoraggiando a vivere da cristiani le sfide e le contraddizioni di questi nostri
anni di cambiamenti, che amava qualificare “cambiamento di epoca”.
Aveva grande spontaneità e una maniera informale di rivolgersi a tutti,
anche alle persone lontane dalla Chiesa.
Ricco di calore umano e profondamente sensibile ai drammi odierni, Papa
Francesco ha realmente condiviso le ansie, le sofferenze e le speranze del
nostro tempo della globalizzazione, e si è donato nel confortare e
incoraggiare con un messaggio capace di raggiungere il cuore delle persone
in modo diretto e immediato. Il suo carisma dell’accoglienza e dell’ascolto,
unito ad un modo di comportarsi proprio della sensibilità del giorno d’oggi,
ha toccato i cuori, cercando di risvegliare le energie morali e spirituali.
Il primato dell’evangelizzazione è stato la guida del suo
Pontificato, diffondendo, con una chiara impronta missionaria, la gioia del
Vangelo, che è stata il titolo della sua prima Esortazione Apostolica
Evangelii gaudium. Una gioia che colma di fiducia e speranza il cuore di tutti
coloro che
si affidano a Dio.
Filo conduttore della sua missione è stata anche la convinzione che la
Chiesa è una casa per tutti; una casa dalle porte sempre aperte. Ha più
volte fatto ricorso all’immagine della Chiesa come “ospedale da campo”
dopo una battaglia in cui vi sono stati molti feriti; una Chiesa desiderosa di
prendersi cura con determinazione dei problemi delle persone e dei grandi
affanni che lacerano il mondo contemporaneo; una Chiesa capace di
chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le
ferite. Innumerevoli sono i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei
rifugiati e dei profughi.
Costante è stata anche l’insistenza nell’operare a favore dei poveri. È
significativo che il primo viaggio di papa Francesco sia stato quello a
Lampedusa, isola simbolo del dramma dell’emigrazione con migliaia di
persone annegate in mare. Nella stessa linea è stato anche il viaggio a
Lesbo, insieme con il Patriarca Ecumenico e con l’Arcivescovo di Atene,
come pure la celebrazione di una Messa al confine tra il Messico e gli Stati
Uniti, in occasione del suo viaggio in Messico. Dei suoi 47 faticosi Viaggi
Apostolici resterà nella storia in modo particolare quello in Iraq nel 2021,
compiuto sfidando ogni rischio. Quella difficile Visita Apostolica è stata un
balsamo sulle ferite aperte della popolazione irachena, che tanto aveva
sofferto per l’opera disumana dell’Isis. È stato questo un Viaggio
importante anche per il dialogo interreligioso, un’altra dimensione rilevante
della sua opera pastorale. Con la Visita Apostolica del 2024 a quattro
Nazioni dell’Asia-Oceania, il Papa ha raggiunto “la periferia più periferica
del mondo”. Papa Francesco ha sempre messo al centro il Vangelo della
misericordia, sottolineando ripetutamente che Dio non si stanca di
perdonarci: Egli perdona sempre qualunque sia la situazione di chi chiede
perdono e ritorna sulla retta via. Volle il Giubileo Straordinario della
Misericordia, mettendo in luce che la misericordia è “il cuore del Vangelo”.
Misericordia e gioia del Vangelo sono due parole chiave di Papa Francesco.
In contrasto con quella che ha definito “la cultura dello scarto”, ha parlato
della cultura dell’incontro e della solidarietà. Il tema della fraternità ha
attraversato tutto il suo Pontificato con toni vibranti. Nella Lettera
Enciclica “Fratelli tutti” ha voluto far rinascere un’aspirazione mondiale alla
fraternità, perché tutti figli del medesimo Padre che sta nei cieli. Con forza
ha spesso ricordato che apparteniamo tutti alla medesima famiglia umana.
Nel 2019, durante il viaggio negli Emirati Arabi Uniti, Papa Francesco ha
firmato un documento sulla “Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la
Convivenza Comune”, richiamando la comune paternità di Dio. Rivolgendosi
agli uomini e alle donne di tutto il mondo, con la Lettera Enciclica Laudato
si’ha richiamato l’attenzione sui doveri e sulla corresponsabilità nei riguardi
della casa comune. “Nessuno si salva da solo”. Di fronte all’infuriare delle
tante guerre di questi anni, con orrori disumani e con innumerevoli morti e
distruzioni, papa Francesco ha incessantemente elevata la sua voce
implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all’onesta trattativa per
trovare le soluzioni possibili, perché la guerra – diceva – è solo morte di
persone, distruzioni di case, ospedali e scuole. La guerra lascia sempre il
mondo peggiore di come era precedentemente: essa è per tutti sempre una
dolorosa e tragica sconfitta.
“Costruire ponti e non muri” è un’esortazione che egli ha più volte
ripetuto e il servizio di fede come Successore dell’Apostolo Pietro è stato
sempre congiunto al servizio dell’uomo in tutte le sue dimensioni. In unione
spirituale con tutta la Cristianità siamo qui numerosi a pregare per Papa
Francesco perché Dio lo accolga nell’immensità del suo amore. Papa
Francesco soleva concludere i suoi discorsi ed i suoi incontri dicendo: “Non
dimenticatevi di pregare per me”.
Caro papa Francesco, ora chiediamo a Te di pregare per noi e che dal cielo
Tu benedica la Chiesa, benedica Roma, benedica il mondo intero, come
domenica scorsa hai fatto dal balcone di questa Basilica in un ultimo
abbraccio con tutto il popolo di Dio, ma idealmente anche con l’umanità
che cerca la verità con cuore sincero e tiene alta la fiaccola della speranza”.