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Presunto stupro di gruppo a Chianciano Terme, la camera penale Siena-Montepulciano: “Sia difesa la presunzione d’innocenza. No ai processi mediatici”

Presunto stupro di gruppo a Chianciano Terme, la camera penale Siena-Montepulciano: “Sia difesa la presunzione d’innocenza. No ai processi mediatici”
  • PubblicatoMarzo 7, 2024

Difendono la “presunzione di innocenza” contro “il dilagante sentimento “colpevolista” che talvolta si cela dietro l’informazione giudiziaria” gli avvocati membri della Camera penale di Siena e Montepulciano, che sono intervenuti sul caso della presunta violenza sessuale che sarebbe avvenuto a Chianciano Terme durante un camping estivo avvenuto nello scorso agosto.

E proseguono: “L’esigenza che il dovere di cronaca trovi la sua collocazione all’interno dei principi costituzionali, primo tra tutti quello sancito dall’articolo 27, sembra non essere considerata un valore quanto, piuttosto, un fastidioso e inutile ostacolo alla frenetica corsa verso la “spettacolarizzazione” del dolore e delle pene altrui”.

“Così, un episodio delicato come quello che vede coinvolti quattro giovani diventa in un istante fatto di cronaca da sezionare, manipolare e rivendere; per di più, cosa ancor più grave ed altamente lesiva del diritto alla privacy, nel caso di specie sono state pubblicate anche le foto dei soggetti – solamente – indagati”, aggiungono.

“In un clima di totale assuefazione a queste modalità di informazione si consuma l’ennesimo “processo fuori dal processo” in cui gli organi di stampa assurgono a giudice e pm”, si legge in una nota

“Già solo i titoli, “Stupro nella scherma…” e, ancora, “Il giallo dello stupro di Chianciano…” (come se far precedere a “stupro” la parola “presunto” fosse peccato capitale) e, poi, “Sono accusati ma vanno in pedana a Lucca…” (in cui l’utilizzo della congiunzione coordinativa di tipo avversativo “ma” si dimostra evocativa dello scopo perseguito), sono la granitica manifestazione della sempre più marcata erosione della presunzione di innocenza che, nel “processo” mediatico, trasforma l’indagato in un colpevole in attesa di giudizio”, si legge ancora.

“Ci vien da concludere, dunque, che questa, come molte altre, è la plastica rappresentazione del “livello e della qualità” della cronaca giudiziaria nel nostro Paese, alla smaniosa caccia di far numero di lettori, anche a costo di fomentare immotivata indignazione e kermesse
forcaiole. Infine, rivolgiamo un pensiero anche a noi stessi, “gli avvocati”, che talvolta ci rendiamo compartecipi di tali derive mediatiche, e per farlo al meglio ci affideremo alle pesate parole del professor avvocato Vittorio Manes quando ha scritto che «quando l’avvocato si presta a questo gioco lo fa però a suo rischio e pericolo, perché difficilmente governerà le correnti di opinione che si agitano nel vortice mediatico, dove il passo dai Campi Elisi alle paludi dello Stige può essere davvero breve». Avvocato non si è, ma si aspira ad esserlo”, concludono.

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Redazione